venerdì 2 agosto 2013

Addio Basile re del restauro. Aveva restituito al mondo gli affreschi di Assisi

di Vittorio Emiliani

Con Giuseppe Basile, per tutti, nell'ambiente del restauro, Pippo, ci lascia a 71 anni una delle figure che hanno scritto, con le opere soprattutto, la storia del restauro in Italia nell’ultimo quarantennio. Malato da tempo, aveva profuso il suo ultimo appassionato impegno nel libro-documento dedicato – assieme al filmato approntato per la Rai dell’epoca da Fernando Ferrigno – ad un restauro curioso, realizzato gratis dal suo Icr: quello del bronzeo cavallo di Francesco Messina in viale Mazzini 14. Piccola cosa a fronte della regìa del grandioso recupero, sino all’ultimo possibile frammento di affresco, della Basilica Superiore di Assisi riconsegnata dopo due anni e due mesi soltanto. Smagliante e messa in sicurezza.
Pippo era così. Metteva lo stesso nobile impegno nelle piccole come nelle grandi opere. Nel 2009, dopo la terribile notte dell’Aquila, si presentò subito là, pronto a prestare la sua lunga esperienza. Da poco in pensione, si era pagato da sé l’assicurazione. Ma «l’uomo di Assisi» venne rimandato a casa dallo staff di Bertolaso, convinto di risolvere da solo ogni problema. Come s’è visto purtroppo.
Nato a Castelvetrano (Trapani) figlio di un restauratore di mobili, «mandolinista e melomane al punto di andare a piedi a Palermo», il ragazzo Basile si iscrive a Lettere a Palermo e lì rimane affascinato dalle lezioni sul restauro di Cesare Brandi, poi si specializza a Roma, alla Gnam, diretta da Palma Bucarelli, divenendo uno dei pochi esperti anche nel restauro dell’arte contemporanea: dai «sacchi» di Burri alla sfera metallica di Pomodoro («un’estate torrida, alla Farnesina, stava per esplodere per l’acqua in bollore»). Ma nel suo destino ci sono i terremoti. Anzitutto quello del Belice dove realizza iniziative così trasparenti da procurargli un paio di «avvertimenti» mafiosi. Entra per concorso al Ministero, poi all’Istituto Centrale del Restauro e qui, dopo Brandi, l’altro incontro della vita: il direttore Giovanni Urbani. «Predicava», mi disse un giorno, «prevenzione e manutenzione, esami ambientali prima che interventi sull’opera. Lezioni formidabili».
Così armato, Pippo Basile va «alla guerra», nel ’76, fra le macerie del Friuli terremotato: un migliaio di morti, diecimila scosse, centri storici atterrati, e però, specie a Venzone, una formidabile volontà di reazione in tutta la comunità. Pietra su pietra. Lui si misura coi frammenti della Cappella del Ss Sacramento. «Una scuola di vita e di lavoro». A Mantova poi collabora con Antonio Paolucci soprintendente e col compagno di studi palermitani Michele Cordaro direttore dell’Icr, per la mantegnesca Camera degli sposi. A Roma con Pio Baldi per definire la «carta del rischio»: 7.000 monumenti da monitorare. Sollecitati dal sottosegretario Luigi Covatta. Ambizioni oggi impensabili. E Basile dimostra che prevenzione+manutenzione costano tre volte meno dei periodici restauri («interventi chirurgici, comunque»).
Lavora a Santa Maria delle Grazie dove microclima, smog e mura malsane minacciano Leonardo, a Padova agli Scrovegni, con un grande restauratore, Carlo Giantomassi. «Ogni visitatore, in un’ora, emette un litro di umidità solo respirando. Senza contare polvere e fango», predicava severo. A volte invano. Segaligno, barbuto, siciliano nell’accento, sembrava un introverso personaggio pirandelliano. In realtà aveva una generosa capacità di amicizia e di riconoscenza. Come dimostrò concorrendo all’Associazione Amici di Cesare Brandi e al centenario del maestro senese che con Giulio Carlo Argan aveva dato vita all’Istituto Centrale (ora Superiore) del Restauro.


L'articolo di Vittorio Emiliani


1 commento:

  1. I grandi non hanno bisogno di chiasso intorno,ne verrebbe meno quel sacro fuoco che arde senza mai spegnersi alle avversità della vita e quando questo avviene è segno che nulla era in suo possesso,ma soltanto chiasso. Giuseppe Basile vivrà nelle sue opere,nella sua modestia, nella sua generosità umana.

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