mercoledì 18 gennaio 2012

Guttuso: un doc su Raistoria, a 25 anni dalla scomparsa.

Nel 25 anniversario dalla morte di Guttuso, su Rai storia andrà inonda stasera, Mercoledì 18 Gennaio, ore 23.00, un documentario dedicato al grande artista siciliano. E' "La vita è arte. Renato Guttuso, l'artista e il suo tempo".
Un ritratto ricco di materiale di repertorio e testimonianze per raccontare la vita non solo del grande artista, ma anche del militante politico strettamente legato alla storia della sua epoca. 

                                                                     La Vucciria


Renato Guttuso, genio artistico libero e forte che espresse sulla tela passione politica e consapevolezza della realtà sociale
di Rosanna Pilolli

Tre anniversari, in questi giorni di gennaio 2012 per Renato Guttuso, uno degli artisti più rappresentativi del secolo scorso. La nascita, cento anni fa a cavallo tra il 1911 e il 1912, nacque infatti a Bagheria il 26 dicembre 1911; l'iscrizione all'anagrafe di Palermo il 2 gennaio 1912; la morte venticinque anni or sono, il 18 gennaio 1987.

Bagheria, la magica città dello splendore delle Ville settecentesche, 15 chilometri ad est di Palermo il cui nome storico, Baharia, le venne dato dagli antichi fenici, rimase il luogo dell'infanzia del pittore che assistette, bambino, ad un delitto di mafia restandone profondamente colpito. L'elaborazione di quel trauma, si disse in seguito, costituì il primo nucleo del suo impegno sociale realizzato nella splendida realtà del dipinto "Vuccirìa".
Le grandi battaglie ideali controcorrente appartenevano al suo DNA. Renato Guttuso era figlio delle idee mazziniane del padre, e nipote delle imprese garibaldine di suo nonno Ciro al quale, ormai pittore affermato, dedicò il grande quadro della "battaglia dell'Ammiraglio".
Dalla sua terra, fino da giovanissimo, Guttuso prese i colori solari, splendenti nella luce mediterranea, ed illustrò i volti della gente delle campagne dai quali prendeva forma la sua ispirazione profonda e remota. "Contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi, qualunque cosa io faccia, contadini siciliani che sono tanta parte della storia dell'Italia".
In queste parole, scritte in occasione della presentazione del grande quadro "Occupazione delle terre incolte in Sicilia" alla Biennale d'Arte di Venezia del 1950, il manifesto esplicito della pittura sociale fatta di passione e di realtà. Di quella meravigliosa nobiltà degli umili. Una pittura che esplorava l'esterno ma che era profondamente interiore e risalente dalla fede profonda di un artista impegnato politicamente. Di un comunista.
Dunque pittura storica, che raccontava ed insieme interpretava anche i grandi eventi e sapeva calarsi fino nel fondo di quella storia minuta, scritta con il sudore ed il sacrificio degli uomini, dei lavoratori e degli oppressi, vissuta nella consapevolezza di un altro mondo possibile.
Renato Guttuso è stato un adolescente-prodigio, formato nella bottega d'arte del siciliano Domenico Quattrociocchi, pittore degli angoli "plebei". La magnificenza dei colori dei carri siciliani dipinti da Emilio Murdolo, l'altro suo maestro, ne segnarono per sempre la fantasia.
Il suo espressionismo, dopo le prime esperienze, si manifestava deciso e sanguigno, la sua pittura aveva l'innegabile segno della partecipazione sociale. Gli schemi accademici si allontanavano sempre di più. Negli anni del fascismo era entrato nel movimento artistico "Corrente", di forte opposizione al "regime". Durante gli anni drammatici e gloriosi della guerra di Spagna, mentre il nazismo ed il suo alleato fascista covavano già la seconda guerra mondiale. Renato Guttuso ebbe il coraggio di schierarsi rivelando il suo pensiero nel quadro "Fucilazione in campagna", dedicato al poeta Federico Garcia, Lorca ucciso dai "camerati" di Francisco Franco.
Durante l'occupazione nazista di Roma, dopo l'8 settembre 1943, i suoi disegni, clandestini (riuniti successivamente nell'album "Massacri"), passavano di mano in mano raccontando le repressioni e le stragi, la tragedia delle Fosse Ardeatine.
Finalmente il dopoguerra: Guttuso frequenta Antonietta Raphael e Mario Mafai, Marino Mazzacurati, lo scultore Pericle Fazzini, Corrado Cagli, Giacomo Manzù, Aligi Sassu. Inizia un'amicizia profonda con il giovane critico d'arte Antonello Trombadori, un sodalizio sociale e politico che lo accompagnerà per tutta la vita e che ne fisserà il ruolo di grande preminenza di intellettuale politicamente impegnato. Membro del Comitato centrale del Partito Comunista italiano, fu eletto, infatti, al Senato della Repubblica per due legislature con più di trentamila voti di preferenza.
Il dipinto che gli dà fama e insieme fortissime polemiche ha un inaspettato tema religioso nel quale vi è la denuncia esplicita degli orrori della guerra. E' una "Crocefissione", nella quale il Cristo pendente dalla croce è "simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere e supplizio per le loro idee".
Dal 1959 al 1961 disegna, nella serie "Inferno di Dante", la storia del genere umano, delle sue cadute e delle sue sconfitte. La verità intima delle donne, il nudo, colpisce profondamente la sua emozione. Sono nudità poetiche che esprimono la forte dimensione sessuale e sensuale femminile.
La sua vita affettiva è oggetto di curiosità (anche malevola), la lunga amicizia con la contessa Marta Marzotto è nel "gossip". La sua arte non passò indenne da certa critica dell'epoca. Fu bollata come "immobilistica", ferma dal 1930 al 1948. Lo si definì, allusivamente, dotato di "troppa bravura e troppo mestiere". Si disse che dipingeva i poveri ma i suoi quadri potevano comperarli soltanto i ricchi, che la ricchezza accumulata con il successo era incompatibile con il suo credo di comunista.
Nel 1972 dipinse il quadro dei funerali di Togliatti, morto nel 1964. Si definì allora, totalmente "politico" un dipinto nel quale Guttuso lasciava invece libera la strada alla commozione profonda del militante, alla sua interiorità politica popolata di idee e di persone che le rappresentano. Sono infatti presenti nel corteo, accompagnando il feretro del "grande Capo" le sfolgoranti bandiere rosse, il pugno levato in alto del "popolo comunista" insieme alle ombre dei compagni "Grandi" che avevano creduto nella società nuova, da Lenin che ne aveva avviato il percorso.
E' stato un gran lavoratore Renato Guttuso. E un uomo di passione. I quadri venduti "sono come i figli, non ti appartengono più ma ti appartengono sempre" ha ritratto Moravia e Pablo Neruda, ed è di questi giorni la scoperta dell'inedito dipinto di Giuseppe Verdi in armonia con la sua opera di scenografo di eventi musicali, di creatore di costumi per il balletto.
Rosanna Pilolli
dal sito: http://www.pontediferro.org/articolo.php?ID=2373

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