Che cos’è l’Arte (con la A maiuscola)?
E’ la domanda che si sono
posti artisti, storici e critici dell’arte. E prima di loro i filosofi.
Sono andato a leggere
l’Enciclopedia:
L’arte, nel suo
significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o
collettivamente – che, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e
norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza, porta a forme
creative di espressione estetica. Nella sua accezione odierna, l’arte è strettamente
connessa alla capacità di trasmettere emozioni, per cui le espressioni
artistiche, pur puntando a trasmettere “messaggi”, non costituiscono un vero e
proprio linguaggio, in quanto non hanno un codice inequivocabile condiviso tra
tutti i fruitori, ma al contrario vengono interpretate soggettivamente.
Indubbiamente , pero’, esiste un linguaggio oggettivo che prescinde dalle
epoche e dagli stili e che dovrebbe essere codificato per poter essere compreso
da tutti .
Fine della citazione.
Parole generiche e una
definizione asettica, un giro di parole, che non soddisfano la curiosità di
comprendere, che nasce in ciascuno di noi di fronte ad un’opera e non tengono
conto, inoltre, del dibattito storico sul tema.
Senza scomodare i
filosofi greci che ci hanno lasciato riflessioni interessanti sull’Estetica,
sull’arte come Mimesi, imitazione della natura, e sul ruolo dell’arte nel
trasformare l’animo degli esseri umani (il bello suscita la bontà), possiamo affermare
che il primo intellettuale moderno a porre la questione dell’arte, in senso
generale e non soltanto di quella visiva, è stato Tolstoi: ”Che cos'è
l'arte?”, scritto e pubblicato nel 1897.
Nella sua opera, Tolstoj
polemizza con le forme artistiche più elaborate e complesse, affermando che «l'arte
buona è sempre comprensibile a tutti». La vera arte, secondo Tolstoj,
suscita un positivo «contagio», ovvero «quel sentimento, completamente
differente dagli altri, di gioia nell'unione spirituale con un altro (l'autore)
e con altri ancora (gli ascoltatori o spettatori) che contemplano la stessa
opera». L'arte «deve sopprimere la violenza» e «fare
in modo che i sentimenti di fraternità e amore per il prossimo, oggi
accessibili solamente agli uomini migliori della società, diventino sentimenti
abituali, istintivi in tutti».
Chiedersi cos'è l'arte è una
domanda alla quale, di volta in volta, di epoca in epoca, sono state date
risposte che riflettevano le condizioni sociali, politiche ed economiche del
momento. Le scoperte scientifiche e tecniche hanno introdotto altre difficoltà
per chi ha tentato di delimitare il problema.
Per poter abbozzare una
risposta, si dovrebbe fare una ricognizione sull’Estetica moderna, dall’inizio
dell’Ottocento quando Baumgarten ne coniò il termine in poi. Una ricognizione
che esula dal nostro compito di oggi, per l’opportunità della leggerezza e le necessità
di tempo. Se l’estetica filosofica ha
ricondotto l’esperienza dell’arte al mero apprezzamento del bello, l’estetica moderna,
invece, ha canalizzato tutta la ricchezza del sentimento nella dimensione del giudizio di gusto.
L’arte è come il
linguaggio; è una caratteristica dell’essere umano. Gli altri viventi non
esprimono capacità e attitudini simili. Nello stesso tempo, come il linguaggio
per il pensiero, l’arte è uno strumento
di comunicazione. In questo caso la comunicazione di sentimenti. Se assumiamo
come vera questa asserzione, possiamo dedurre che, oltre alla mera apparenza
estetica e al di là dei condizionamenti del mercato, l’arte è la trasmissione
di sentimenti, dall’artista nella sua opera e dall’opera agli spettatori.
Non tutti gli esseri
umani hanno la capacità, se vogliamo il dono, di poter utilizzare questo
linguaggio, cioè essere artisti. Ma a nessuno è precluso provarci. Come
esattamente per la facoltà di parola, non tutti gli alfabetizzati sono
scrittori o poeti, ma nessuno ha il diritto di impedire ad alcuno di parlare e
scrivere.
L’arte in effetti non è
un prodotto del singolo, ma una realizzazione collettiva. Come ogni
comunicazione, c’è bisogno di un emittente e un ricevente e, quindi, il singolo
in sé è incapace di produrre arte, se non ci fossero gli altri a riceverla.
Come ogni opera, il quadro, la scultura, la foto o ogni altra forma moderna
dell’arte, una volta realizzata non è più proprietà dell’autore, ma dello
spettatore, di chi la guarda e ammira. Quando un’opera è riconosciuta da
un’ampia platea di osservatori, sopravvive al suo autore. E’ eterna e rende
eterno il suo plasmatore, non necessariamente come persona singola. Le pitture rupestri di Lascaux in Francia, di
Altamira in Spagna oppure di Akakus nel Sahara libico sono una testimonianza
della dimensione culturale dell’essere umano anche nella preistoria e prima
ancora dell’invenzione della scrittura. In quei disegni stilizzati di bisonti e
giraffe, l’uomo e la donna primitivi ci hanno comunicato, 10 mila anni dopo,
una testimonianza della loro vita quotidiana, che altrimenti non sarebbe stata
esplorata e compresa. L’artista dotato di una vena creativa assume così un
ruolo sociale ed una responsabilità storica.
Questa conclusione la
possiamo affermare per tutte le successive civiltà, da quella egizia, a quella
greca e romana, per rimanere nel bacino del Mediterraneo; ma anche di quella
indiana e cinese e delle due Americhe: il livello dello sviluppo culturale di
quelle società è espresso dalle loro arti, intese in senso generale di
manufatti, strumenti di lavoro, arredo per la casa, vestiario, architettura,
ecc…
Per ogni civiltà e in
ogni epoca, ci sono stati uomini che hanno eccelso, ma la loro eternità è la
somma di tanti altri contributi collettivi. Il prodotto artistico scaturisce da
un atto creativo dell'artista, colui che da antico artigiano a genio per
antonomasia ha attraversato, nella storia, tutti i ceti sociali. Quando al
frutto di questo atto creativo vengono attribuiti anche giudizi di valore esso
diventa arte. La nascita dell'arte, infatti, determina la nascita culturale
dell'uomo, a sua volta costruito dalla sua stessa cultura entro un processo
dinamico che conduce sino ai nostri tempi moderni, percorrendo un’ esperienza
di vita antica, ma sempre nuova e rinnovabile ove l'arte si pone come una
caratteristica intrinseca universale dell’essere umano. Le arti visive, la
musica, il canto non conoscono infatti confini. Di fronte all’Urlo
di Munch e a Guernica di Picasso, ogni essere umano, di ogni
latitudine e di ogni generazione, è scosso dalle vibrazioni emozionali di
rabbia e di angoscia, che quei lavori gli trasmettono, anche senza saperne il
percorso e il contesto storico e al di là dei canoni estetici del momento
vissuto dall’osservatore . Pablo Picasso sosteneva che “l’arte è la menzogna
che ci consente di comprendere la verità”: non è l’oggetto artistico ad
esprimere un valore concettuale, eppure attraverso d’esso l’idea si mostra e si
concretizza.
C’è stato anche chi
demoralizzato dal profilarsi di una società sempre più inumana, animata
dall’etica del profitto, ha considerato l’arte come l’unico mezzo per sfuggire
al dolore insito nella realtà (Shopenhauer), o chi ha inteso l’arte più che altro come un’
“intuizione lirica”, parte da un sentimento e si concretizza successivamente in
un’immagine (Benedetto Croce).
Ma c’è anche un’altra
deriva dell’arte durante il periodo dell’industrializzazione e della formazione
della classe capitalista, quella della cosiddetta “smitizzazione” del prodotto
artistico, scorgendo nell’arte una
possibile e vincente espressione della tecnica. Ed è proprio quest’ultimo modo
di intendere l’arte che verrà ripreso ed ampliato durante il Novecento con il
profilarsi delle “Avanguardie Storiche” e quindi movimenti artistici come il
Cubismo, il Futurismo, l’Astrattismo, il Dadaismo etc.
L’arte nello sviluppo
capitalistico della società si è talmente dissociata dalla vita che per
riconoscerla e
apprezzarla sono
necessari codici e istruzioni non solo specifici, ma anche particolarmente
stravaganti e inverosimili. Il mercato distorce e corrompe l’anima. Sotto gli
occhi di tutti appare oggi l’arbitrarietà delle regole vigenti nel “mondo dell’arte”,
che si sono arenate sulla supremazia del profitto e condizionate dall’inganno
del critico a pagamento e della pubblicità.
L’arte nella mia
concezione è un prodotto collettivo e l’artista esiste perché è riconosciuto
tale dalla sua società. Qua e ora! Non dopo la morte. Ecco perché
l’individualismo dell’artista èuna condizione necessaria per l’affermazione
dell’Ego creativa, ma che non sarebbe sufficiente alla sua elevazione, se non
ci fosse il confronto e la collaborazione con gli altri, artisti o comuni
esseri umani, in un processo culturale durante il quale diverse figure
contribuiscono alla crescita di tutti.
Un esempio di artista è
colui che stiamo festeggiando oggi i suoi 80 anni. Salvatore Morello è un
artista vero, proprio nel senso tolstoiano, un “artista popolare”, che per
lunghi anni non ha scoperto la vena artistica che serbava in seno. Soltanto
all’età di 48 anni, e per circostanze fortuite, ha preso in mano il pennello e
spalmato i colori sulla tela. Ma vi assicuro che le opere che aveva realizzato quando
era – come dice lui – contadino allevatore, sono autentiche opere artistiche.
Intagliava oggetti di legno, di uso comune, per la cucina e per il lavoro,
abbellendole con bassorilievi, che testimoniano sue capacità inestimabili. Ho
visto recentemente a San Fratello, un dono che ha fatto a sua sorella per il
suo matrimonio, una tavola di legno incisa, con scene di corteggiamento
raffiguranti un cavaliere e una donna e altre figure, in una specie di fumetto
tridimensionale ante letteram. Un’opera, per fortuna, gelosamente e
consapevolmente costudita dalla proprietaria, sia per il suo valore affettivo
sia per quello artistico.
L’arte di Salvatore
Morello è annoverata tra quelle figurative, incline all’ingenuo, altrimenti
detto con termine colto, francesizzante: naif. Non rispetta la prospettiva e le
dimensioni degli oggetti, ma coglie la natura delle cose e la arricchisce con
una fantasia esplosiva, come in quei suoi tramonti e aurore meravigliose che
sprigionano, allo stesso tempo, luce e tenebre.
Salvatore Morello è un
artista legato fortemente alla sua fede religiosa e questo suo sentimento lo
tramanda sulla tela con opere dirette, come l’immagine di Gesù crocifisso e
sofferente, sia con la lode dell’incanto della natura, con una spasmodica
attenzione al particolare, che rasenta la miniatura.
Un terzo filone della
produzione morelliana è la tradizione perduta dei mestieri e ambienti della
società contadina e pastorizia.
Una dimensione umana di
Salvatore è il suo lato socievole e solidale. E’ un uomo che non si risparmia
per servire gli altri. Ha sempre messo la sua arte al servizio dell’impegno. Ha
donato suoi quadri per la raccolta di fondi a favore dei bambini africani e palestinesi
e un suo quadro ci ha permesso di coprire una parte delle spese per realizzare
il murales Dino Sauro, nella salita della stazione ferroviaria.
Questo omaggio che gli
facciamo è il minimo riconoscimento che una società possa assegnare ad uno dei
suoi figli migliori, con l’augurio di altri ottant’anni.
Farid Adly
Acquedolci (Me), 7
Settembre 2013
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